TRIBUNALE DI SALERNO 
                          I Sezione civile 
 
    Il giudice designato, dott. Iannicelli Guerino; letti gli atti ed
a scioglimento della riserva assunta all'udienza del 29 gennaio 2020,
ha emesso la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  cautelare  ante
causam ex art. 700 del codice di  procedura  civile  iscritto  al  n.
11519  del  ruolo  generale  dell'anno  2019,  proposto  con  ricorso
depositato in data 2 dicembre 2019 da S. S., nato in C. D'A.  il  ...
rappresentato e difeso dall'avv. Gianluca De  Vincentis  per  procura
allegata al ricorso; ricorrente; 
    nei confronti di Comune di C. rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Francesco De Marco  per  procura  allegata  alla  memoria  difensiva;
resistente. 
    Il cittadino extracomunitario S.  S.  chiede  l'emissione  di  un
provvedimento cautelare ante causam contenente  l'ordine  al  sindaco
del Comune di C., anche nella sua qualita' di  ufficiale  di  Governo
responsabile della tenuta  dei  registri  dello  stato  civile  e  di
popolazione, di immediata iscrizione nel  registro  anagrafico  della
popolazione residente. 
    Espone che e' titolare del permesso di  soggiorno  per  richiesta
asilo, rilasciato dalla questura di S. in data ... e dimora  da  piu'
di tre mesi a C... (fraz. P...) alla via P..., presso il c...,  di  a
... O...; che in  data  31  ottobre  2019  si  e'  presentato  presso
l'ufficio anagrafe del Comune di C. per formalizzare la  sua  domanda
di  iscrizione  nell'anagrafe  del  comune   ove   dimora;   che   il
responsabile dell'ufficio demografico gli ha comunicato di non  poter
accettare la richiesta, ai sensi dell'art.  13  del  decreto-legge  4
ottobre 2018, n. 113 poiche' il permesso di soggiorno  per  richiesta
asilo non costituirebbe valido titolo  per  procedere  all'iscrizione
anagrafica; che l'art. 13 del decreto-legge n. 113/2018 non  contiene
alcun divieto esplicito di iscrizione anagrafica  per  i  richiedenti
asilo ma si limita semplicemente  ad  escludere  che  la  particolare
tipologia di permesso di soggiorno possa essere documento  utile  per
la formalizzazione della domanda di  residenza;  che  il  regolamento
anagrafico della popolazione residente (decreto del Presidente  della
Repubblica 30 maggio 1989, n. 223) ed  il  testo  unico  immigrazione
(art. 6, comma 7, del decreto  legislativo  n.  286/1998)  non  fanno
menzione di «titoli per l'iscrizione anagrafica» appunto perche'  nel
nostro ordinamento giuridico l'iscrizione anagrafica non  avviene  in
base a «titoli» ma a «dichiarazioni  degli  interessati»  (art.  13),
«accertamenti di ufficio» (articoli 15, 18-bis e 19) e «comunicazioni
degli  ufficiali  di  stato  civile»;  che,   infatti,   l'iscrizione
anagrafica registra la volonta' delle persone, italiane o  straniere,
che, avendo una dimora, hanno fissato in  un  determinato  comune  la
propria residenza oppure, non  avendo  una  dimora,  hanno  stabilito
nello stesso comune il proprio domicilio; che l'art. 6, comma 7,  del
decreto legislativo n. 286/1998 espressamente esclude la possibilita'
che  si  possa  negare  l'iscrizione  anagrafica  ad  uno   straniero
regolarmente soggiornante, ospitato in un centro di accoglienza; che,
dunque,  il  cittadino  italiano  e  lo  straniero,  ai  fini   della
iscrizione anagrafica, sono sullo stesso  piano,  dovendo  dimostrare
l'elemento oggettivo (stabile permanenza in un  luogo)  e  l'elemento
soggettivo (volonta' di rimanervi); che lo straniero, in  aggiunta  a
questi  elementi,  dovra'  solo  dimostrare  di  essere  regolarmente
soggiornante  in  Italia  con  la  conseguenza  che  il  permesso  di
soggiorno non e' mai stato titolo per l'iscrizione stessa, ma  rileva
solo ai fini  della  regolarita'  del  soggiorno;  che,  inoltre,  la
domanda  di  iscrizione  anagrafica  per  lo  straniero  che   dimora
abitualmente in un comune integra anche gli estremi di  un  «dovere»,
penalmente sanzionato (art. 11 della  legge  n.  1228/1954);  che  la
corretta interpretazione dell'art. 13 del decreto-legge  n.  113/2018
consiste nell'aver abolito  l'automatismo  di  iscrizione  anagrafica
della c.d. procedura semplificata prevista dall'abrogato  art.  5-bis
del decreto legislativo  n.  142/2015,  secondo  cui  il  richiedente
protezione internazionale ospitato nei centri di cui agli articoli 9,
11 e 14 e' iscritto nell'anagrafe della popolazione  residente  sulla
base di una comunicazione del responsabile del centro; che, se l'art.
5-bis aveva previsto  un  automatismo  nella  iscrizione  anagrafica,
svincolandola sia  dalla  dichiarazione  dell'interessato  che  dagli
accertamenti dell'ufficiale d'anagrafe e quindi basandosi solo  sulla
comunicazione del responsabile del centro, l'art. 13 in realta' altro
non vuol significare che l'abolizione di tale automatismo,  chiarendo
che non vi e' una speciale iscrizione all'anagrafe dei residenti  per
i richiedenti asilo basata sul «titolo» della domanda di protezione e
dell'inserimento nella  struttura  di  accoglienza;  che  il  diritto
soggettivo  all'iscrizione  anagrafica  del  residente   ha   rilievo
costituzionale  nell'art.  16  della  Costituzione,   relativo   alla
liberta' di circolare e soggiornare liberamente  in  qualsiasi  parte
del  territorio  nazionale,  dovendosi  ritenere  che   l'espressione
«cittadino» utilizzata dal  costituente  sia  riferibile  a  tutti  i
membri della comunita'  dei  residenti  (regolarmente  e  stabilmente
soggiornanti)  nel  Paese;  che  la  mancanza  della  iscrizione  nei
registri della popolazione residente comporta una serie di disagi  ed
impedisce l'esercizio di fondamentali diritti, quali  l'accesso  alle
misure di politica attiva del lavoro (art. 11, comma  1,  lettera  c)
del decreto legislativo n. 150/2015), l'attribuzione di un numero  di
partita IVA  (art.  35,  comma  2,  lettera  decreto  legislativo  n.
633/1972), la determinazione del  valore  ISEE  richiesto  per  poter
accedere alla prestazioni sociali agevolate (art. 1, comma 125, della
legge n. 104/1990), la  decorrenza  del  termine  di  nove  anni  per
l'ottenimento della cittadinanza italiana (art. 9,  comma  1-ter  del
decreto legislativo n. 286/1998), il rilascio della patente di  guida
(art.  118-bis,  comma  1,   c.d.s.),   la   istruzione   scolastica,
l'ottenimento  di  una  concessione  commerciale  per  il   commercio
ambulante, l'esercizio di  una  professione,  l'assistenza  sanitaria
nazionale;  che  tali  limitazioni  integrano  anche   il   requisito
dell'urgenza della tutela,  ex  art.  700  del  codice  di  procedura
civile. 
    Il  Comune  di  C.,  costituitosi,  eccepisce   la   carenza   di
legittimazione   passiva,   essendo    legittimato    il    Ministero
dell'interno, in qualita' di titolare  della  funzione  anagrafica  e
dello stato civile delegata al sindaco quale  ufficiale  di  Governo.
Eccepisce l'inammissibilita' della domanda, non essendovi stato alcun
diniego, osservando che il ricorrente si era presentato negli  uffici
per richiedere l'iscrizione anagrafica; che in quella circostanza era
stato invitato a produrre  idonea  documentazione  a  sostegno  della
propria richiesta (permesso di  soggiorno,  passaporto,  ecc.);  che,
pero', non era piu' ritornato; che alla diffida del legale era  stato
risposto che effettivamente l'art. 13 del decreto-legge  n.  113/2018
non  consente  l'iscrizione  anagrafica  ma,   senza   voler   negare
alcunche', precisando che  la  documentazione  fatta  pervenire  agli
uffici comunali non risultava idonea  per  una  corretta  valutazione
della  richiesta  del  ricorrente,  solo  ed  esclusivamente  perche'
incompleta ed assolutamente illeggibile; che il ricorrente era  stato
invitato, per  il  tramite  del  suo  legale,  a  volersi  presentare
nuovamente presso  gli  uffici  comunali,  munito  di  documentazione
idonea, oltre che  leggibile,  al  fine  di  poter  valutare  la  sua
richiesta di iscrizione anagrafica; che non era mai  piu'  presentato
presso gli uffici comunali,  con  la  documentazione  richiesta.  Nel
merito, osserva che l'art. 4, comma 1-bis, della legge n. 142/2015  e
successive modificazioni, di cui all'art.  13  del  decreto-legge  n.
113/2018, consente ai richiedenti protezione internazionale di  avere
un permesso di soggiorno temporaneo,  nell'attesa  della  definizione
della loro domanda di protezione  internazionale,  costituente  anche
documento di identita', ma nel contempo la situazione  di  incertezza
sulla  futura  condizione  di  soggetto  meritevole   di   protezione
internazionale o meno ha fatto ritenere al legislatore di  non  farlo
iscrivere  nel  registro  anagrafico  della  popolazione   residente,
garantendo al medesimo, pero', l'accesso ad  una  serie  di  diritti;
che, pertanto, la domanda di iscrizione anagrafica  non  puo'  essere
accolta, ai sensi dell'art. 13 del decreto-legge  4  ottobre  2018  e
della circolare n. 15 del 18 ottobre 2018 del Ministero dell'interno,
secondo cui, dall'entrata in  vigore  delle  nuove  disposizioni,  il
permesso di soggiorno per richiesta di protezione  internazionale  di
cui all'art. 4, comma 1, del decreto  legislativo  n.  142/2015,  non
potra' consentire l'iscrizione  anagrafica.  Contesta,  altresi',  il
periculum in mora. 
    Va  esaminata,  in  via   pregiudiziale,   la   questione   della
legittimazione passiva. 
    Come e' noto, il sindaco esercita, nei casi previsti dalla legge,
anche funzioni di ufficiale di Governo,  nel  qual  caso  l'attivita'
svolta non e' riferibile al comune ma allo Stato, al quale fa capo lo
specifico interesse pubblico perseguito dalla norma  attributiva  del
potere.  Il   sindaco   si   pone   istituzionalmente   come   organo
dell'amministrazione dell'interno ed, in tale veste, pur  avvalendosi
dei  mezzi  propri  del  comune,  pone  in  essere  atti   imputabili
direttamente  allo  Stato.   Di   regola,   poi,   alla   titolarita'
dell'interesse   e'   associata   la    legittimazione    processuale
riconducibile all'esercizio del potere. 
    Nel  caso  che  qui   interessa,   le   funzioni   di   ufficiale
dell'anagrafe sono attribuite al sindaco, quale ufficiale del Governo
(art. 3 della legge 24  dicembre  1954,  n.  1228).  In  particolare,
l'art. 14 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) prevede che i servizi
di anagrafe sono gestiti dal comune e che le relative  funzioni  sono
esercitate  dal  sindaco  quale  ufficiale  del  Governo,  ai   sensi
dell'art. 54 (il comma 3 dispone che il sindaco, quale ufficiale  del
Governo, sovrintende alla tenuta dei registri di stato  civile  e  di
popolazione; il comma 11 prevede, nel caso di inerzia del  sindaco  o
del suo delegato nell'esercizio delle funzioni, che il prefetto  puo'
intervenire con proprio provvedimento; il comma  12  dispone  che  il
Ministro dell'interno puo' adottare atti di indirizzo per l'esercizio
delle funzioni previste dall'art. 54 da parte del sindaco). L'art. 12
della legge n. 1228/1954 prevede che la vigilanza sulla tenuta  delle
anagrafi della popolazione  residente  e'  esercitata  dal  Ministero
dell'interno  e  dall'Istituto  centrale   di   statistica.   Dunque,
l'interesse pubblico che presiede ai poteri di iscrizione  anagrafica
fa  capo  all'amministrazione  statale   che   esercita,   attraverso
l'amministrazione centrale (il Ministero dell'interno),  le  funzioni
di indirizzo e di vigilanza e, attraverso gli organi territoriali, le
funzioni di esercizio concreto del potere (il sindaco e, in  caso  di
inerzia, il prefetto). 
    Da questo sistema  di  attribuzione  dei  poteri  in  materia  di
anagrafe si desume che la legittimazione passiva  nella  controversia
relativa al diritto all'iscrizione  nel  registro  della  popolazione
residente rimane in capo all'organo a cui spetta  l'accertamento,  in
concreto, dei presupposti del diritto e, dunque,  l'iscrizione  o  il
diniego dell'istanza (il sindaco), mentre  l'organo  di  indirizzo  e
vigilanza  (il  Ministero  dell'interno)  puo'   vantare   solo   una
legittimazione ad intervenire in giudizio. La legittimazione  passiva
spetta, percio', al sindaco p.t. che,  nel  caso  di  specie,  si  e'
costituito in giudizio, sia pure nella qualita' di rappresentante del
comune. Di  qui  l'infondatezza  dell'eccezione  di  inammissibilita'
dell'azione cautelare proposta nei confronti del comune,  in  persona
del sindaco p.t., anziche' nei confronti del Ministero dell'interno. 
    L'eccezione di inammissibilita' del ricorso per  mancanza  di  un
diniego alla domanda di  iscrizione  richiede  una  precisazione  sul
fumus boni iuris e sul provvedimento richiesto. 
    Quanto al fumus, il ricorrente propone una  domanda  cautelare  a
contenuto anticipatorio della sentenza di merito avente ad oggetto la
condanna della pubblica amministrazione ad emettere un  provvedimento
amministrativo (la condanna del comune all'iscrizione anagrafica), la
quale  richiede  una  previa  verifica  della  situazione   giuridica
soggettiva e della giurisdizione. Come chiarito dalle Sezioni  unite,
le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri
anagrafici  della  popolazione  coinvolgono  situazioni  di   diritto
soggettivo per le quali la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
L'ordinamento delle anagrafi della popolazione  residente  (legge  24
dicembre 1954, n. 1228 e relativo regolamento di esecuzione approvato
con decreto del Presidente della Repubblica 31 gennaio 1958, n.  136,
poi sostituito dal decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio
1989, n. 223), osservano le Sezioni unite,  configura  uno  strumento
giuridico-amministrativo di documentazione e di  conoscenza,  che  e'
predisposto nell'interesse sia della  pubblica  amministrazione,  sia
dei singoli individui. Sussiste,  invero,  non  soltanto  l'interesse
dell'amministrazione  ad  avere  una  relativa  certezza   circa   la
composizione ed i movimenti della popolazione, ma  anche  l'interesse
dei  privati  ad  ottenere  le  certificazioni  anagrafiche  ad  essi
necessarie per l'esercizio  dei  diritti  civili  e  politici  e,  in
generale, per provare la residenza e lo stato di  famiglia.  Inoltre,
tutta l'attivita' dell'ufficiale  d'anagrafe  e'  disciplinata  dalle
norme sopra richiamate in modo  vincolato,  senza  che  trovi  spazio
alcun momento di discrezionalita'. In particolare,  sono  rigidamente
definiti dalle norme del regolamento i presupposti per le iscrizioni,
mutazioni e cancellazioni anagrafiche, onde l'amministrazione non  ha
altro potere  che  quello  di  accertare  la  sussistenza  dei  detti
presupposti. Pertanto la regolamentazione  qui  considerata,  per  la
natura vincolata dell'attivita' amministrativa da essa disciplinata e
perche'  e'  dettata   nell'interesse   diretto   della   popolazione
residente, non  contiene  norme  sull'azione  amministrativa,  ma  e'
composta  da   norme   di   relazione   che   disciplinano   rapporti
intersoggettivi. Tali  norme  non  attribuiscono  all'amministrazione
alcun potere idoneo a degradare i diritti  soggettivi  attribuiti  ai
singoli individui. (Cassazione - Sezioni unite - 19 giugno  2000,  n.
449). 
    Pertanto, il  fumus  consiste  nella  probabile  sussistenza  del
diritto del  cittadino  extracomunitario,  titolare  di  permesso  di
soggiorno per aver  fatto  richiesta  di  protezione  internazionale,
all'iscrizione anagrafica nel comune di residenza. 
    Occorre chiarire, tuttavia, qual e' il provvedimento  provvisorio
interinale  che   puo'   essere   emesso   dal   giudice   ordinario.
L'anticipazione cautelare di una sentenza di condanna della  pubblica
amministrazione  ad  emettere  un  provvedimento  amministrativo  (la
condanna del comune all'iscrizione anagrafica), nel che si traduce la
domanda del ricorrente, si pone in conflitto con  il  noto  principio
secondo cui al giudice ordinario  e'  fatto  divieto  di  revocare  o
modificare un atto amministrativo (art. 4 della legge 20 marzo  1865,
n. 2248,  all.  E),  e  dunque,  di  sostituirsi  all'amministrazione
nell'emanare un atto amministrativo, potendo solo disapplicarlo (art.
5) se  lesivo  di  un  diritto  soggettivo.  Il  potere  del  giudice
ordinario di condannare la  pubblica  amministrazione  al  compimento
dell'atto (l'iscrizione anagrafica) esige una norma di legge che,  in
deroga al principio generale posto dalla legge ordinaria, accordi una
tutela del diritto soggettivo rafforzata, consistente, non nella mera
affermazione del diritto, previa disapplicazione dell'atto lesivo (il
provvedimento di diniego dell'iscrizione anagrafica), e nella  tutela
risarcitoria,   ma   nella   condanna   al    compimento    dell'atto
amministrativo dovuto. Sul punto, in verita', alcuna norma  di  legge
deroga al divieto stabilito dall'art. 4 della  legge  abolitrice  del
contenzioso   amministrativo.   Pertanto,   la   tutela    interinale
provvisoria non consente l'adozione  di  un  «ordine»  di  compimento
dell'atto amministrativo negato, bensi' solo la  dichiarazione  della
sussistenza del diritto (temporaneo) all'iscrizione  anagrafica.  Ne'
un potere di ordine di adozione dell'atto puo' ricavarsi dall'art. 95
del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000,  n.  396
(Regolamento per la revisione e la  semplificazione  dell'ordinamento
dello stato civile), che regola  il  procedimento  di  rettificazione
degli atti dello stato civile, essendo riferito solo ai  registri  di
cittadinanza, di nascita, di matrimonio, di morte e di unioni civili. 
    Dalle considerazioni che  precedono  si  ricava  che  il  giudice
ordinario  puo'  solo   dichiarare   la   sussistenza   del   diritto
all'iscrizione  anagrafica,  laddove  questa   si   contestata.   Non
trattandosi di condannare al compimento  di  un  atto  amministrativo
rifiutato ma solo di affermare un  diritto,  non  e'  una  condizione
dell'azione il provvedimento  formale  di  rifiuto  della  richiesta.
Occorre soltanto che tale diritto venga contestato e  che,  pertanto,
sia controverso, come nel caso di specie, nel quale il Comune di  C.,
anche se non ha emesso un provvedimento, costituendosi in giudizio ha
contestato,  nel  merito,  la  pretesa   del   ricorrente.   Di   qui
l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilita' del ricorso. 
    Nel  merito,  l'esame  del  fumus  consiste  nella  verifica  del
fondamento normativo del  diritto  dedotto  in  giudizio,  ossia  del
diritto del  cittadino  extracomunitario,  titolare  di  permesso  di
soggiorno per aver  fatto  richiesta  di  protezione  internazionale,
all'iscrizione anagrafica nel comune di residenza. 
    La  norma  attributiva  del  diritto,  rispetto  allo   straniero
titolare di un permesso di soggiorno, va individuata in via  generale
nell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il quale
dispone che «Le iscrizioni e variazioni anagrafiche  dello  straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate  alle  medesime  condizioni
dei cittadini italiani con le modalita' previste dal  regolamento  di
attuazione. In ogni caso  la  dimora  dello  straniero  si  considera
abituale anche in caso di documentata ospitalita' da piu' di tre mesi
presso  un  centro  di  accoglienza.   Dell'avvenuta   iscrizione   o
variazione l'ufficio da' comunicazione alla questura territorialmente
competente». 
    Il regolamento di  attuazione,  richiamato  dalla  norma,  e'  il
decreto del Presidente  della  Repubblica  30  maggio  1989,  n.  223
(Approvazione del  nuovo  regolamento  anagrafico  della  popolazione
residente), il quale  stabilisce  che  presupposto  per  l'iscrizione
anagrafica della singola persona per trasferimento dall'estero e'  la
fissazione della residenza nel  comune  (art.  1),  ossia  la  dimora
abituale  nel  comune  (art.  3).  L'iscrizione  nell'anagrafe  della
popolazione residente viene effettuata  in  base  alla  dichiarazione
dell'interessato o in base ad accertamento d'ufficio (art.  7,  comma
1, lettera c, modificato  dall'art.  1,  comma  1,  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 17 luglio 2015, n.  126);  gli  stranieri
iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di  rinnovare  all'ufficiale  di
anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune di residenza,
entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno (art.  7,
comma 3). 
    Dalle  disposizioni  richiamate  si  desume  che   due   sono   i
presupposti del diritto dello straniero all'iscrizione anagrafica per
trasferimento dall'estero: la regolarita' del soggiorno in  Italia  e
la dimora abituale nel comune. E, dunque, lo straniero titolare di un
regolare permesso di soggiorno che, come nel caso in esame, e' ospite
da piu' di tre mesi presso un  centro  di  accoglienza,  deve  essere
considerato come residente nel comune presso il quale vi e' il centro
di accoglienza e, pertanto, in base alla disciplina richiamata, ha il
diritto (soggettivo) all'iscrizione anagrafica. 
    Secondo il comune convenuto, pero', la  disciplina  in  esame  e'
derogata rispetto allo straniero titolare di un particolare  permesso
di soggiorno, come quello in questione, ossia rispetto allo straniero
al quale sia stato rilasciato  un  permesso  di  soggiorno  per  aver
presentato domanda di protezione internazionale su cui non  e'  stata
ancora adottata una decisione definitiva. In questo caso,  l'art.  4,
comma 1-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, inserito
dall'art. 13, comma 1, n. 2) del decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.
113, convertito con modificazioni dalla legge 1°  dicembre  2018,  n.
132 (entrato in vigore il 5 ottobre 2018), dispone che tale  permesso
di soggiorno «non costituisce titolo per l'iscrizione  anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'art. 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio  1998,
n. 286». 
    La questione controversa richiede, dunque, una interpretazione di
questa  norma  diretta  a  stabilire   se   il   diritto   soggettivo
all'iscrizione anagrafica nella popolazione residente di  un  comune,
che l'art. 6, comma 7, del decreto legislativo n. 286 del  1998  (non
modificato)   attribuisce   anche   allo    straniero    regolarmente
soggiornante, al pari del cittadino italiano, deve ritenersi  escluso
rispetto allo straniero che ha un permesso  di  soggiorno  in  attesa
della definizione della sua domanda di protezione internazionale.  In
altri termini, se la norma discrimina tra lo straniero titolare di un
permesso  di  soggiorno  per  richiesta  di  asilo,  al   quale   non
attribuisce il diritto, e lo straniero titolare  di  un  permesso  di
soggiorno per altri motivi, al quale il diritto e' attribuito. 
    Secondo un indirizzo della giurisprudenza di merito,  su  cui  si
basa il ricorso, la norma non contiene  alcun  divieto  esplicito  di
iscrizione  anagrafica  per  i  richiedenti  asilo   ma   si   limita
semplicemente ad escludere che il loro permesso di soggiorno sia,  di
per se', sufficiente, dovendo dimostrare, come chiunque altro  voglia
ottenere l'iscrizione  anagrafica,  sia  esso  cittadino  italiano  o
straniero regolarmente soggiornante  per  altro  titolo,  la  stabile
permanenza  nel  comune  (l'elemento  oggettivo)  e  la  volonta'  di
rimanervi  (l'elemento  soggettivo).  Il  significato   della   norma
consisterebbe   nell'aver   abolito   l'automatismo   di   iscrizione
anagrafica della c.d. procedura semplificata  prevista  dall'abrogato
art. 5-bis del  decreto  legislativo  n.  142/2015,  secondo  cui  il
richiedente  protezione  internazionale  ospitato   nei   centri   di
accoglienza e' iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente
sulla base di una comunicazione del responsabile del centro. 
    La lettura proposta non risponde ad alcuno dei canoni ermeneutici
dettati  dall'art.  12  delle  preleggi,  letterale,  sistematico   e
teleologico. 
    L'indirizzo in argomento spiega  il  «significato  proprio  delle
parole secondo la connessione di esse» (interpretazione  letterale  e
sistematica), da un lato in negativo, sostenendo  che  la  frase  «il
permesso di soggiorno di cui al comma 1 non  costituisce  titolo  per
l'iscrizione anagrafica» non prevede in modo espresso  alcun  divieto
di iscrizione anagrafica per il richiedente asilo; dall'altro lato in
positivo, osservando che nessuna delle disposizioni richiamate  dalla
norma fa menzione di «titoli per  l'iscrizione  anagrafica»,  poiche'
questa non avviene in base a  «titoli»,  ma  a  «dichiarazioni  degli
interessati», «accertamenti d'ufficio» e «comunicazioni degli  uffici
di stato civile». Cio' vale a dire che il permesso di  soggiorno  per
richiedenti asilo non e' titolo da solo sufficiente per  l'iscrizione
anagrafica, occorrendo anche la residenza. Ma, intesa in questo modo,
la norma perde di significato, perche' anche il permesso di soggiorno
per altro motivo non e' sufficiente (in questo senso non e' «titolo»)
per l'iscrizione anagrafica, occorrendo anche la residenza. La  norma
sopravvenuta sarebbe, in questa  ottica,  un'inutile  replica  di  un
principio gia' esistente nel sistema normativo e valevole per tutti i
permessi di soggiorno, anche per quelli che la norma non indica. 
    L'indirizzo qui non condiviso, che assegna ad una  norma  che  fa
eccezione lo stesso significato della  regola  generale,  ritiene  di
individuare nell'abrogazione della c.d.  procedura  semplificata  una
dimostrazione  dell'assunto  e  un   significato   sistematico   che,
altrimenti,  la  norma  non  avrebbe.  Il  suo  valore  consisterebbe
nell'aver  sancito  l'abolizione   dell'automatismo   di   iscrizione
anagrafica della c.d. procedura semplificata  prevista  dall'abrogato
art. 5-bis del  decreto  legislativo  n.  142/2015,  secondo  cui  il
richiedente  protezione  internazionale  ospitato   nei   centri   di
accoglienza e' iscritto  nell'anagrafe  della  popolazione  residente
sulla base di una comunicazione del responsabile del  centro.  Questo
significato, pero', non sfugge  all'obiezione  dell'inutilita'  della
norma, poiche' la procedura semplificata e' stata gia' abrogata dalla
medesima legge (il decreto-legge n.  113  del  2018,  convertito  con
modificazioni dalla legge n. 132 del 2018) che ha inserito  la  norma
in esame. 
    La tesi della conservazione dell'equiparazione normativa, ai fini
dell'iscrizione  anagrafica,  oltre  che  offrire  un'interpretazione
della norma priva di un proprio significato, e'  contraria  anche  al
canone teleologico. La relazione introduttiva al disegno di legge  di
conversione del  decreto-legge  parla  espressamente  di  «esclusione
dall'iscrizione anagrafica» che «si giustifica per la precarieta' del
permesso per richiesta asilo e risponde alla necessita'  di  definire
preventivamente la condizione giuridica del richiedente». E' vero che
la  «intenzione  del  legislatore»  va  intesa,  per   giurisprudenza
consolidata, come  l'intenzione  del  legislatore  obiettivata  nella
norma e che tiene conto, al di la' della volonta' politica  che  l'ha
prodotta, del suo inserimento nell'insieme dell'ordinamento giuridico
e della compatibilita' sul piano costituzionale. E' altrettanto vero,
pero', che la ratio esplicitata nella relazione introduttiva non puo'
essere trascurata per privilegiare un'interpretazione,  non  solo  ad
essa contraria, ma tale anche  da  privarla  di  un  proprio  effetto
(tamquam non esset). 
    L'interpretazione logico-letterale di  senso  compiuto,  coerente
anche con la ratio  legis  esplicitata  nella  relazione,  e'  invece
quella  che  non  si  limita  a  non  riconoscere  alcun  significato
all'espressione «titolo» ma lo riferisce  al  primo  presupposto  del
diritto all'iscrizione anagrafica, consistente  nella  condizione  di
regolarita' del soggiorno dello straniero in Italia.  Come  e'  noto,
infatti,  la  regolarita'  della  presenza  dello  straniero  e'  una
situazione che, talvolta, non richiede alcuna formalita' (il  diritto
di soggiorno «informale» per il periodo di tre mesi di colui  che  e'
entrato in Italia  con  regolare  visto  di  ingresso),  altre  volte
dipende da un titolo «formale» (il permesso di soggiorno o  la  carta
di soggiorno). L'espressione «titolo» utilizzata dalla norma in esame
e' riferita precisamente al titolo «formale» che condiziona il  primo
presupposto   dell'iscrizione   anagrafica   (la   regolarita'    del
soggiorno). La norma intende affermare che, a differenza degli  altri
permessi di soggiorno, quello rilasciato al richiedente asilo non  e'
un «titolo» che integra la condizione di regolarita'  della  presenza
in  Italia.  In  altri  termini,  come  chiaramente  affermato  nella
relazione introduttiva, la norma stabilisce che il richiedente asilo,
prima della decisione sulla sua domanda di protezione internazionale,
non   e'   uno   straniero   regolarmente   soggiornante,   ai   fini
dell'iscrizione anagrafica, essendo il  suo  permesso  di  soggiorno,
diversamente dagli altri, all'insegna della «precarieta'». Ovvero, la
norma vuol distinguere tra lo straniero che ha ottenuto  un  regolare
permesso di  soggiorno,  essendo  stata  valutata  la  sua  posizione
giuridica, il quale ha il diritto-dovere di  iscriversi  all'anagrafe
del comune di residenza, e lo straniero che ha ottenuto  un  permesso
di soggiorno nelle more della definizione della  sua  domanda,  senza
alcuna valutazione della sua situazione giuridica, il  quale  non  ha
diritto all'iscrizione anagrafica ma e' solo «autorizzato a  rimanere
nel territorio dello Stato  fino  alla  decisione  della  commissione
territoriale» (art. 7, comma 1, del decreto  legislativo  28  gennaio
2008, n. 25). 
    Intesa in questo modo, senza possibilita' di opzioni ermeneutiche
alternative, la norma non sfugge  ad  una  valutazione  di  probabile
fondatezza  della  questione  di  legittimita'   costituzionale,   in
relazione alla violazione  di  diritti  umani  fondamentali  tutelati
dall'art. 2 della Costituzione (l'accesso all'assistenza sociale e la
concessione di eventuali sussidi o agevolazioni previste dal  comune,
come quelle basate sulle  condizioni  di  reddito;  il  conseguimento
della patente di guida italiana o la  conversione  della  patente  di
guida estera; ecc.), del  principio  di  uguaglianza  (art.  3),  per
l'irragionevole  trattamento  rispetto  allo  straniero  regolarmente
soggiornante ad altro titolo, e della  liberta'  di  soggiorno  (art.
16),  per  l'esclusione  dello  straniero  avente  diritto   ad   una
definizione della sua domanda di  protezione  internazionale  da  una
regolare condizione anagrafica. 
    Ricorrono,  pertanto,  i  presupposti  per  la  rimessione  della
questione  di  costituzionalita'  alla   Corte   costituzionale.   La
definizione    del    giudizio    cautelare     dipende,     infatti,
dall'applicazione  della  norma  e  non  si  puo'  prescindere  dalla
risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale,  che
appare   non   manifestamente    infondata,    anche    in    ragione
dell'insostenibilita'   di   un'interpretazione    costituzionalmente
orientata, come quella qui non condivisa. 
    La rilevanza della questione, nel giudizio cautelare, e'  segnata
dalla    sussistenza,    in    ipotesi    di    scrutinio    conforme
all'incostituzionalita' della norma, sia del fumus boni iuris che del
periculum in mora. Quanto alla probabile fondatezza del  diritto  del
ricorrente all'iscrizione anagrafica, il ricorrente S. S. e' titolare
del permesso di  soggiorno  per  richiesta  asilo,  rilasciato  dalla
questura di S ... in data ..., e dimora da piu' di tre mesi a  C  ...
(fraz. P ...) alla via P..., presso il c ... di a ... O ... Nei  suoi
confronti troverebbero applicazione,  in  caso  di  espunzione  della
norma  incostituzionale,  gli  articoli  6,  comma  7,  del   decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e 1 e 3 del decreto del Presidente
della Repubblica 30 maggio 1989,  n.  223,  secondo  cui  ha  diritto
all'iscrizione anagrafica per trasferimento dall'estero lo  straniero
regolarmente soggiornante che dimora abitualmente nel comune, essendo
ospite da piu' di tre mesi presso un centro di accoglienza. Quanto al
periculum, le limitazioni all'esercizio di diritti fondamentali della
persona dipendenti dalla mancata iscrizione anagrafica  integrano  il
requisito dell'urgenza  della  tutela  ex  art.  700  del  codice  di
procedura civile. 
    L'effettivita'  della  tutela  d'urgenza  consente   al   giudice
ordinario,   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale    (Corte
costituzionale n. 274 del 2014), l'adozione in via provvisoria  della
tutela interinale  «nel  tempo  occorrente  per  la  definizione  del
giudizio incidentale di costituzionalita'  e  con  un  contenuto  che
intanto, limitatamente a questo lasso  di  tempo,  schermi  la  norma
indubbiata nella parte e nella misura in cui il giudice  adito  abbia
espresso  dubbi  di  non  manifesta  infondatezza   della   questione
sollevata» (Cassazione - Sezioni unite - ordinanza  del  18  novembre
2015, n. 23542). E' affermazione ricorrente, nella giurisprudenza  di
legittimita', che il giudice puo' sollevare questione di legittimita'
costituzionale   in   sede    cautelare    anche    quando    conceda
provvisoriamente la relativa  misura  su  riserva  di  riesame  della
stessa e nello stesso tempo sospenda il giudizio con  l'ordinanza  di
rimessione, purche' tale concessione non si risolva, per  le  ragioni
addotte a suo  fondamento,  nel  definitivo  esaurimento  del  potere
cautelare del quale in  quella  sede  il  giudice  amministrativo  e'
dotato. Infatti la potestas iudicandi  non  puo'  ritenersi  esaurita
quando la concessione della misura cautelare e'  fondata,  quanto  al
fumus boni iuris, sulla non manifesta infondatezza della questione di
legittimita' costituzionale, dovendosi in tal caso  ritenere  che  la
sospensione  dell'efficacia   del   provvedimento   impugnato   abbia
carattere provvisorio e temporaneo fino  alla  ripresa  del  giudizio
cautelare dopo  l'incidente  di  legittimita'  costituzionale.  Tanto
basta per ritenere superata  in  senso  affermativo  la  verifica  di
sussistenza della  sua  legittimazione  a  sollevare  l'incidente  di
costituzionalita' (Corte costituzionale n. 172 del 2012).